Il carrozzone.
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Il carrozzone.
Quanto venga a costare l’Onu con certezza non lo sa nessuno. Stando ai dati ufficiali, a fine 2007, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato il budget dell’organizzazione per il biennio 2008-2009: 4,17 miliardi di dollari. Una cifra di per sé enorme, ma nulla in confronto a quanto emerge da un rapporto delle Nazioni Unite del 2006, pubblicato ora da Fox News.
Se si considera il complesso sistema di agenzie che compongono il sistema anti-povertà dell’Onu, dalle nazioni contribuenti arrivano ogni anno ben 17,2 miliardi di dollari.
Di questi, 16,4 miliardi vanno a finire nei tanti programmi per contrastare la povertà. Proprio di recente l’Onu ha chiesto ai Paesi donatori dei fondi addizionali pari a 16,2 miliardi per dimezzare la povertà entro il 2015.
Restano poi fuori ben 800 milioni di dollari che non si sa esattamente per cosa vengano usati e che finiranno nello sconfinato “sistema” Onu.
Per non parlare dei 2 miliardi di dollari per il solo costo della sede dell’Onu a New York o i 5 miliardi per il “programma di sviluppo”.
Non solo, i fondi già elevatissimi, continuano a crescere a una media annua del 13%.
Al suo interno vi sono agenzie come la Undp e l’Unicef i cui costi crescono ancora di più: 14,1% il primo, 18,7% il secondo.
Come ammette lo stesso rapporto, non viene fatto un bilancio unico delle spese di organizzazione, in quanto troppo grande.
Al suo interno, con il programma antipovertà, ci sono ben 37 agenzie e fondi, con decine di programmi di sviluppo e assistenza e centinaia di persone stipendiate. Restano poi fuori le missioni di pace ( 7 miliardi di dollari) e gli aiuti umanitari.
Le 37 componenti del programma contro la povertà, poi, hanno in molti casi un’organizzazione e un’amministrazione propria, che non comunica con le altre.
Ci si chiede: ma dove vengono spesi questi soldi?
Il 38% va in Africa, percentuale bassa se si considerano i problemi del continente. Ben il 15,4% nell’America del Sud, in Paesi come l’Argentina e il Brasile che non sono certo sottosviluppati.
Non solo, siamo all’assurdo che molti di questi Paesi versano importanti contributi per il funzionamento dell’Onu: che senso ha restituire soldi che hanno versato?
Tra i dieci maggiori contribuenti dell’Onu ci sono quasi esclusivamente Paesi occidentali, tranne il Giappone.
I maggiori donatori sono gli Stati Uniti ( 2,7 miliardi), seguiti dalla Gran Bretagna (1 miliardo) e dal Giappone (0,9 miliardi).
Notizia curiosa: nella top ten non ci sono Paesi che spesso si appellano alle Nazioni Unite, come Russia e Cina.
Quanto all’Italia non è che brilli sugli aiuti internazionali.
Gli Stati Uniti che hanno spesso criticato le “spese folli” dell’apparato Onu ( numerosi gli scandali), hanno votato contro l’ultimo budget, anche se poi le loro scelte incidono pesantemente sul bilancio a causa della presenza dei caschi blu in Iraq, Afghanistan e Libano. Il costo degli “operatori di pace” sparsi nel mondo e coinvolti in una ventina di operazioni, con 110mila uomini, è di circa 7 miliardi l’anno.
L’impressione è che “mantenere la pace” costi più di una guerra, tra strutture, sedi, programmi, stipendiati di alto livello e nullafacenti istituzionalizzati.
E spesso l’opinione pubblica si chiede: ma a che serve l’Onu? Forse non a torto
Se si considera il complesso sistema di agenzie che compongono il sistema anti-povertà dell’Onu, dalle nazioni contribuenti arrivano ogni anno ben 17,2 miliardi di dollari.
Di questi, 16,4 miliardi vanno a finire nei tanti programmi per contrastare la povertà. Proprio di recente l’Onu ha chiesto ai Paesi donatori dei fondi addizionali pari a 16,2 miliardi per dimezzare la povertà entro il 2015.
Restano poi fuori ben 800 milioni di dollari che non si sa esattamente per cosa vengano usati e che finiranno nello sconfinato “sistema” Onu.
Per non parlare dei 2 miliardi di dollari per il solo costo della sede dell’Onu a New York o i 5 miliardi per il “programma di sviluppo”.
Non solo, i fondi già elevatissimi, continuano a crescere a una media annua del 13%.
Al suo interno vi sono agenzie come la Undp e l’Unicef i cui costi crescono ancora di più: 14,1% il primo, 18,7% il secondo.
Come ammette lo stesso rapporto, non viene fatto un bilancio unico delle spese di organizzazione, in quanto troppo grande.
Al suo interno, con il programma antipovertà, ci sono ben 37 agenzie e fondi, con decine di programmi di sviluppo e assistenza e centinaia di persone stipendiate. Restano poi fuori le missioni di pace ( 7 miliardi di dollari) e gli aiuti umanitari.
Le 37 componenti del programma contro la povertà, poi, hanno in molti casi un’organizzazione e un’amministrazione propria, che non comunica con le altre.
Ci si chiede: ma dove vengono spesi questi soldi?
Il 38% va in Africa, percentuale bassa se si considerano i problemi del continente. Ben il 15,4% nell’America del Sud, in Paesi come l’Argentina e il Brasile che non sono certo sottosviluppati.
Non solo, siamo all’assurdo che molti di questi Paesi versano importanti contributi per il funzionamento dell’Onu: che senso ha restituire soldi che hanno versato?
Tra i dieci maggiori contribuenti dell’Onu ci sono quasi esclusivamente Paesi occidentali, tranne il Giappone.
I maggiori donatori sono gli Stati Uniti ( 2,7 miliardi), seguiti dalla Gran Bretagna (1 miliardo) e dal Giappone (0,9 miliardi).
Notizia curiosa: nella top ten non ci sono Paesi che spesso si appellano alle Nazioni Unite, come Russia e Cina.
Quanto all’Italia non è che brilli sugli aiuti internazionali.
Gli Stati Uniti che hanno spesso criticato le “spese folli” dell’apparato Onu ( numerosi gli scandali), hanno votato contro l’ultimo budget, anche se poi le loro scelte incidono pesantemente sul bilancio a causa della presenza dei caschi blu in Iraq, Afghanistan e Libano. Il costo degli “operatori di pace” sparsi nel mondo e coinvolti in una ventina di operazioni, con 110mila uomini, è di circa 7 miliardi l’anno.
L’impressione è che “mantenere la pace” costi più di una guerra, tra strutture, sedi, programmi, stipendiati di alto livello e nullafacenti istituzionalizzati.
E spesso l’opinione pubblica si chiede: ma a che serve l’Onu? Forse non a torto
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